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Il ‘dolore vizia la volontà’: malati contro il suicidio assistito
Il dibattito sul fine vita torna sotto i riflettori, mentre a Milano Marco Cappato, attivista per i diritti civili, è nuovamente sotto inchiesta per aver accompagnato in Svizzera due pazienti per il suicidio assistito. Il caso tocca ancora una volta la Corte Costituzionale, ponendo in discussione l’articolo 580 del codice penale. Questo si concentra sulla punibilità di chi assiste al suicidio di persone con patologie irreversibili, ma che non dipendono da trattamenti di sostegno vitale.
Da un lato, l’avvocatura dello Stato, rappresentante della presidenza del Consiglio, sostiene che l’articolo 580 funzioni come una "cintura di protezione", assicurando che non esiste un diritto al suicidio e che non si può obbligare i medici a partecipare a un atto del genere. Questa interpretazione è supportata da quattro pazienti affetti da patologie irreversibili, che vedono la legge come una salvaguardia contro decisioni prese sotto il peso del dolore e della sofferenza psicologica.
Dall’altro lato, il collegio di difesa, guidato dall’avvocata Filomena Gallo dell’associazione Luca Coscioni, chiede che la Corte chiarisca la necessita di trattamenti di sostegno vitale e che si consideri anche la "prognosi infausta breve" come criterio per accedere al suicidio assistito in Italia.
La discussione ha una forte carica emotiva, alimentata dalle storie personali degli stessi pazienti e delle loro famiglie, che spesso cercano solo di alleviare il dolore insostenibile dei propri cari. Elena e Romano, i due pazienti coinvolti nel caso di Cappato, hanno scelto di porre fine alle loro sofferenze in Svizzera. I loro figli erano presenti all’udienza della Consulta, sostenendo le scelte dei genitori e sottolineando che tali decisioni sono state prese per preservare la dignità di chi amano.
Marco Cappato ha definito il suo intervento come un "dovere morale", una risposta alla mancanza di soluzioni alternative che non prevedessero una sofferenza considerata insopportabile. La questione solleva quindi interrogativi complessi su autodeterminazione, diritti individuali e ruolo dello Stato nella tutela della vita e nella regolamentazione della morte assistita.
Il dibattito, sempre più pressante nel nostro Paese, mette in evidenza la necessità di una legislazione chiara e condivisa che possa rispondere alle diverse esigenze di tutte le parti coinvolte. Come sempre, il confronto tra etica, diritti e doveri resta aperto e di fondamentale importanza.
Fonte originale: https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2025/03/26/fine-vita-lavvocatura-dello-stato-non-esiste-il-diritto-al-suicidio_a25d7b7c-90ac-4ff9-b25c-659b39df7138.html
